L’abito della sposa
Una selezione della biografia di Paolo Sidoti premiata nella Sezione Biografie della 2a edizione di Thrinakìa 2014-2015 Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia
Scritture solidali
Scritture autobiografiche di redenzione e rinascita che mettono in luce sentimenti di solidarietà verso sé stessi, gli altri e il mondo, e sollecitano un’autentica solidarietà fra le lettrici e i lettori.
Archivio della memoria e dell’immaginario siciliano
Ateliers dell’immaginario autobiografico © OdV Le Stelle in Tasca
L’abito della sposa
Paolo Sidoti
San Berillo
Era un tempo in cui la vita era più semplice di adesso, forse anche più bella. Quello che veniva ci prendevamo, momenti belli si alternavano a quelli brutti e noi li accettavamo così come venivano, come la storia che voglio raccontare, per non essere dimenticata insieme a quel periodo della mia vita.
Era la fine degli anni ‘50, eravamo ancora impauriti dal ricordo e dal terrore della guerra, e dei bombardamenti. Anche se facevamo di tutto per non parlarne, nessuno aveva dimenticato, forse per questo nel quartiere, dove vivevo e lavoravo ci sentivamo uno vicino all’altro. C’era una forte solidarietà tra le persone che adesso non c’è più.
Il quartiere dove vivevo si chiamava “San Berillo”, prendeva il nome dal primo vescovo inviato dall’apostolo Pietro ad evangelizzare Catania. Nella balaustra di marmo bianco della cattedrale dedicata a Sant’Agata, c’è una sua statua, insieme con quella di altri santi.
Catania, settembre del 1957, io avevo diciannove anni, ero una sartina che sognava la felicità guardando la domenica pomeriggio i film al cinema “Mirone” con Marcello Mastroianni e Sofia Loren, ma la felicità arriva sempre in modo differente da come te lo aspetti, e per me la vera felicità è stata la mia famiglia e i miei figli.
Avevo una piccola sartoria nella stessa casa in cui abitavo. A tredici anni, finita la scuola media, cominciai a lavorare come aiutante da una brava sarta, la Signora Anna. Lei era romana ma viveva a Catania da molti anni, aveva una sartoria nel centro della città. Era bravissima, e fu come una madre per me, m’insegnò tutto sul lavoro e così adesso, mi ero messa in proprio. Avevo adibito il salone di casa con manichini, stoffe, macchina da cucire, ferro da stiro e attrezzi da lavoro. Finalmente il mio sogno si era realizzato.
Quante volte indossando una giacca, una camicia abbiamo detto: Ci sto bene in quest’abito, mi sento bene, mi calza a pennello, non me lo tolgo più. E quante altre volte invece: Mi sta male, mi opprime, mi fa sentire a disagio, non vedo l’ora di toglierlo.
Questa misteriosa componente è la più semplice e la più difficile che esista: l’amore.
Vedere la gioia nelle persone che indossavano un mio vestito, era una grande soddisfazione. Da chi compra abiti industriali, non ho mai sentito dire niente di simile. I vestiti già confezionati e pronti sono belli, ma sono freddi, non hanno questo ingrediente e non potranno mai trasmettere tutte queste emozioni.
C’è una cosa nella mia vita, che non sono riuscita a fare, è quella di non aver trasmesso ai miei figli di mettere abbastanza amore in tutto quello che fanno, questo prezioso sentimento, farà sembrare facile quello che appare difficile, e sarà da conforto di fronte ai dispiaceri.
San Berillo era un quartiere popolare, composto di case piccole e fatiscenti, era sovrappopolato e si trovava nel centro storico della città. Ci abitavano brave persone, artigiani, operai, ma anche persone che per vivere facevano lavori al limite dell’onestà. Ancora non era arrivato il boom economico degli anni ‘60 e vivere non era facile. Il vero boom noi abitanti del quartiere, l’abbiamo sentito veramente quando il comune, con le ruspe, demolì quasi tutto il quartiere per costruire il moderno Corso Sicilia. Noi fummo trasferiti nelle case popolari di una nuova zona periferica della città, cui fu assegnato il nome di “Nuovo San Berillo”.
La casa dove abitavo si trovava in via Reggio, fu demolita insieme a tante altre, e al suo posto fu costruita la Banca d’Italia. A volte entravo in banca di proposito, sentivo sempre una forte emozione, mi guardavo intorno disorientata cercando di capire, senza riuscirci, dove si trovasse la stanza da letto, il salone, e il bagno della mia vecchia casa.