Amore e pietre
Una selezione del racconto di Andrea Bassi premiato nella Sezione Racconti autobiografici della 4a edizione di Thrinakìa 2017-2018 Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia
Scritture solidali
Scritture autobiografiche di redenzione e rinascita che mettono in luce sentimenti di solidarietà verso sé stessi, gli altri e il mondo, e sollecitano un’autentica solidarietà fra le lettrici e i lettori.
Archivio della memoria e dell’immaginario siciliano
Ateliers dell’immaginario autobiografico © OdV Le Stelle in Tasca
Amore e pietre
Andrea Bassi
Nel 1983 raggiungere Filicudi da Ravenna richiedeva un’intera rotazione del globo terrestre. Si partiva in treno nel tardo pomeriggio, si viaggiava tutta la notte in cuccetta, spiando dal finestrino le grandi stazioni deserte nelle quali il treno sostava. Con le prime luci del mattino si arrivava a Villa San Giovanni e qui cominciava un’interminabile operazione di imbarco del treno, che dopo una breve navigazione riemergeva a Messina dalle viscere del traghetto. Si scendeva poi definitivamente dal treno a Milazzo e qui avveniva il primo contatto con la Sicilia. Al porto di Milazzo si saliva poi su una nave che raggiungeva, con molta flemma, l’isola di Vulcano. Qui si faceva un’altra pausa passeggiando per il paese, in attesa che partisse l’aliscafo. Finalmente io e Pietro toccammo terra sul molo di Filicudi nel tardo pomeriggio del giorno successivo a quello della partenza. Con una giornata di viaggio si poteva arrivare in Australia, agli antipodi del globo terrestre, oppure si poteva arrivare a Filicudi, agli antipodi della modernità.
Fare il rilevamento vulcanologico di un’isola come Filicudi significa, quando si è fortunati, vagare per tracce di sentiero che nessuno probabilmente ha più percorso da secoli. Nella maggior parte dei casi invece si arranca come capre tra rocce e dirupi, senza alcuna traccia di sentiero, cercando di arrivare ovunque e possibilmente senza farsi troppo male.
È impossibile descrivere con le parole i colori del mare e del cielo al tramonto che si potevano ammirare tra quelle colonne, li fotografai a lungo, solo per scoprire a casa, dopo lo sviluppo della pellicola, che è impossibile descriverli anche con le immagini: l’unica possibilità di viverli è trovarsi lì al tramonto. L’isola non era ancora elettrificata, qualche casa aveva un gruppo elettrogeno che avviava nelle prime ore della sera, ma una volta che si faceva notte il silenzio era totale e il buio assoluto: la vista della volta stellata e dei riflessi della luna sul mare era senza pari. In quel porticato, di notte, ho davvero partecipato all’armonia dell’universo, con un’intensità che non ho più provato in seguito.
Eravamo arrivati a Filicudi con le valigie piene di cose inutili, quasi dovessimo sopravvivere nel deserto o evitare contatti con la popolazione. In capo ad un mese avevamo la nostra casa, avevamo smesso gli abiti mimetici a favore di pratiche magliette, girando per l’isola salutavamo la gente che incontravamo e tutti ci conoscevano, la valigia con gli alimentari non serviva più perché riuscivamo a procurarci il nostro cibo in molti modi diversi. Dormivamo con i gechi sul muro e avevamo anche il tempo di farci qualche giretto in barca. Non mi permetto di dire che eravamo diventati parte della comunità, però non eravamo più solo forestieri. Non sono più tornato a Filicudi, a volte ho avuto la tentazione di farlo ma ho preferito mantenere intatti i miei ricordi: probabilmente non avrei riconosciuto nulla e avrei sovrimposto immagini banali e persone ordinarie a quei ricordi meravigliosi. Meglio non rischiare, meglio conservare integri i propri amori.