Alle falde dell’Etna
Una selezione del racconto di Silvana Nania della sua autobiografia “Alle falde dell’Etna” L’immaginario nella scrittura di sé Edizione 2019
Scritture solidali
Scritture autobiografiche di redenzione e rinascita che mettono in luce sentimenti di solidarietà verso sé stessi, gli altri e il mondo, e sollecitano un’autentica solidarietà fra le lettrici e i lettori.
Archivio della memoria e dell’immaginario siciliano
Ateliers dell’immaginario autobiografico © OdV Le Stelle in Tasca
Alle falde dell’Etna
Silvana Nania
La ricerca dell’autostima è come un vaso per giardini, bucato sotto. Se il vaso è pieno di cose che riempiono il cuore, si riesce a scongiurare il vuoto che è in agguato.
Ognuno di noi credo abbia dei timori inconsci. Un giorno, per esempio, non riuscivo ad aprire la porta di casa: ho inserito la chiave e ho cercato di girarla ma non ci sono riuscita; riprovai ma non cambiò nulla e già mi ero preoccupata. Mia figlia, alle mie spalle, mi chiese di provare lei… Mi sono spostata e lei… prova e.… la porta si apre.
La mia mano destra, bisogna prenderne atto, non è stata molto duttile ed io ne ho riso di cuore. In genere quando non riesco in qualcosa mi inalbero con me stessa. Questa volta ho solo riso dell’inconveniente. Sono cambiata con l’età, con gli ostacoli incontrati e con la signora solitudine che ogni tanto si fa vedere. È importante esserne coscienti. Non approvo tutto di me perché ancora non conosco tutti i meandri del mio cuore e della mia mente ma man mano che faccio la loro conoscenza comprendo ancor meglio che amore significa apertura e accettazione di sé stessi e degli altri.
Ieri sera ero di nuovo in terrazza e godevo della vista delle Stelle che brillavano, dell’Etna in tutta la sua maestosità e dall’altra parte, tra i profumi dell’alloro, del rosmarino e dei gigli ammiravo il mare fino ad Augusta. Le stelle sono così belle che guardandole me ne innamoro sempre. Il loro scintillio sembra che voglia dirmi tante cose: a volte in mezzo a loro vedo il sorriso dei miei genitori e a volte guardandole, converso con loro perché sembra a chi le guarda che ci ascoltino e ci comprendano. Ad un tratto mi sembrò che il rosmarino mi parlasse e che mi dicesse che l’oleandro era nato in una città vicina e che successivamente lo avevano portato sulla nostra terrazza. Durante il viaggio però la sua casa (un vaso di coccio rosso) si ruppe e il poverino rimase con le radici nude. Arrivato sul terrazzo fu risistemato in un nuovo vaso e ora è felice. Continuando nel suo racconto aggiunse che l’acero del vicino aveva rischiato di morire perché i padroni di casa lo avevano lasciato in pieno sole. Il secondo giorno il poverino si lamentava di essere senza una goccia di acqua. Il terzo giorno, per fortuna, rientrarono i padroni di casa ed egli fu salvo.
I pini a questo punto, presero la parola e mi dissero che la loro è una bella vita, se non fosse stato per il glicine che si lamentava continuamente e per le formiche che facevano loro il solletico e non li lasciavano riposare. Poi mi informarono che da qualche giorno era arrivato uno straniero, il mandarino cinese, che parlava poco perché ancora non conosceva bene la lingua locale. I primi giorni non riuscivano proprio a scambiare parola perché lui rispondeva con dei monosillabi che loro non capivamo. Adesso non fa altro che salutare.
L’alloro puntualizzò che nel giardino erano tutti ben accetti e raccontò che un giorno fu portata sul terrazzo una pianta che prima stava in soggiorno, adornata di molte luci. Provarono a parlarle ma lei non rispondeva e non portava più alcun ornamento. Quando a loro davano la loro porzione di acqua a lei non ne versavano. Una sera arrivò il vento e la nuova arrivata vacillò fino a ruzzolare a terra. Il vaso si ruppe e lei era come morta. Notarono però che quella pianta non aveva radici, era finta e non parlava perché non conosceva né il linguaggio delle piante né quello degli uomini. In questo giardino fatato gli alberi e i fiori si raccontano le loro storie. Che siano tutti amanti o eroi metaforici puniti con una trasformazione, come Dafne o Anemone?
Nella terrazza ampia e forte
il sole si indugia un poco
e riscalda quasi come un fuoco
È il tramonto nel giardino d’inverno.
È la vita.
Passeggiando nel giardino trovo sempre qualcosa di nuovo: un formicaio. Ne avevo già notato uno e l’avevo osservato crescere. Nel sottosuolo del giardino si intrecciano i cunicoli creati dalle formiche per nascondere il loro cibo. Siamo già alla fine dell’estate e il magazzino è ancora quasi vuoto. Mamma formica è molto preoccupata e decide di riunire la famiglia nel formicaio per trovare una soluzione. Il formichino chiamato Primo espone la sua idea: sfruttiamo la nostra abilità nel rosicchiare scolpendo alcuni oggetti che possano interessare i passanti. La proposta fu accolta dagli abitanti del formicaio e pertanto tutti si misero all’opera. Finito il primo lavoro esposero le loro sculture ma non riuscirono a barattarle con qualcosa da mangiare durante l’inverno.
Un pomeriggio una bimba bionda con gli occhi azzurri, andò a trovarli nella loro bottega portando delle mollichine di cui sapeva che erano golose. La mamma e i suoi numerosi figli furono felici del regalo e subito, si misero in fila e andarono a posare le mollichine nei magazzini del labirinto. La felicità ritornò e, quando arrivava la loro piccola amica, alla piccola sembrava di sentire tanti gridolini di contentezza.