In Sicilia, nella casa del cuore
di Asmae Dachan
Testimonial di penna Premio internazionale Thrinakìa
In un giorno uggioso di novembre del 2018 mi trovavo a Palermo per il Premio Piersanti Mattarella. Avevo partecipato presentando un mio romanzo ambientato proprio tra la Siria e la Sicilia. Ho sempre immaginato la mia penna e i miei fogli come ponti tra queste due sponde del Mediterraneo. La prima è la terra delle mie origini, la seconda è una terra dove, sin dalla prima volta che ci sono stata, ho sentito il mio cuore battere come batte solo quando respiro il profumo delle mie radici. Sono nata in una città di mare, Ancona, ma le mie origini sono ancora più a oriente, ad Aleppo e in me convivono due anime che in Sicilia sembrano trovare la loro dimensione naturale. In quest’isola sento che hanno entrambe voce e che in qualche modo trovano la loro dimensione più autentica. Oltre a Palermo ho visitato anche la splendida Siracusa e l’incantevole Catania. Guardando il mare, ascoltando lo sciabordio sugli scogli, pensando che quello specchio di acqua si estende fino alla Siria, mi sono spesso chiesta in quale punto le onde decidano dove andare, se verso le coste della Sicilia, o verso il Medio Oriente. Chissà se si alternano, se fanno esperienza di entrambe le sponde e nel loro viaggio eterno portano da una parte all’altra racconti, emozioni, storie.
Nel tempo sono tornata più volte a Palermo. Ogni volta mi piace avventurarmi tra le sue strade, leggere i nomi delle vie scritti in ebraico, arabo e italiano, scoprire quel connubio di stili e testimonianze che raccontano la storia di questa città e di questa regione, dove è bello passeggiare senza meta e quando si chiede un’indicazione, spesso le persone si offrono di accompagnare la forestiera o il forestiero verso quel luogo e si conversa, ci si racconta, si fanno dialoghi che lasciano un segno. Ci sono storie tra i muri, per le stradine, tra i monumenti che non si possono trovare in nessun altro posto. Ed è proprio in uno di questi viaggi, mentre passeggiavo da sola tra le vie del centro storico, che mi sono imbattuta nella Chiesa di San Giovanni degli Eremiti. Un capolavoro dell’architettura arabo-normanna, che con la sua storia, le sue caratteristiche cupole rosse e il suo suggestivo chiostro, evoca tanti pensieri. Sono stata seduta lì a lungo, a immaginare le persone che hanno attraversato quei luoghi e si sono seduti in quel giardino, sotto l’ombra delle palme e degli altri alberi. Mentre mi trovavo lì, ad ammirare gli archi del chiostro, dal campanile di San Giuseppe Cafasso, diviso dalla chiesa solo da una rete, è partito il suono delle campane che annunciavano la messa.
Ripenso spesso a quel momento, e all’emozione profonda che ho provato. È come se lì in mezzo avessi trovato una risposta alla domanda che mi pongo da quando ho memoria: “chi sono?”. In quella meravigliosa atmosfera, con il sottofondo del suono delle campane che riempiva il silenzio di quel pomeriggio, riecheggiando tra gli archi di San Giovanni degli Eremiti, mi sono sentita perfettamente a mio agio. Come se tra quegli alberi e quel cielo, tra quei segni di architetture antiche e diverse, avessi trovato una sorta di luogo della pace, dove le mie anime, quella italiana, e quella siriana, scoprissero entrambe una profonda legittimazione, trovando entrambe una nuova casa. Tutto era autentico, tutto era in armonia. Nessuno mi chiedeva di scegliere o di mostrare chi fossi. Con tutte le mie sfumature, ero come una delle tante piante che crescono e convivono in quel giardino così bello. In nessun altro posto del mondo ho provato una sensazione così.