Come Pippo mi insegnò ad amare il mare

Come Pippo mi insegnò ad amare il mare

Una selezione del racconto di Marcello Gurrieri Sezione Racconti autobiografici Thrinakìa 1a edizione 2013-2014 Premio internazionale di scritture autobiografiche, biografiche e poetiche, dedicate alla Sicilia

Scritture solidali
Scritture autobiografiche di redenzione e rinascita che mettono in luce sentimenti di solidarietà verso sé stessi, gli altri e il mondo, e sollecitano un’autentica solidarietà fra le lettrici e i lettori.
Archivio della memoria e dell’immaginario siciliano
Ateliers dell’immaginario autobiografico © OdV Le Stelle in Tasca

Come Pippo mi insegnò ad amare il mare
Marcello Gurrieri

“Buongiorno comandante!” I pescatori di Ognina (popoloso quartiere a due passi dal mare di Catania) lo salutavano così. Pippo allargava il suo sorriso e rispondeva: “Buongiorno! Com’è il mare oggi?”. Eravamo insieme, sulla sua barchetta, pronti per un’altra avventura.

Conobbi Pippo alla Cooperativa Puebla, una casa famiglia per disabili che per anni fu un importante punto di riferimento per tutto il quartiere ogninese. Quella di Pippo era una disabilità molto grave, riusciva a muovere a malapena la testa. Ma quanto gli funzionava quella testa! Organizzatore impeccabile, non solo dei suoi movimenti giornalieri ma di eventi, viaggi, feste. Con quella cuffia attaccata al telefono si era ritagliato uno spazio di straordinaria autonomia. Bastava solo alzargli la cornetta del telefono e al resto ci pensava lui. Che intelligenza sopraffina quella di Pippo!

Il periodo più bello era, per lui e per noi, l’estate. Era il momento della sua barchetta, al porticciolo di Ognina.

All’inizio mi chiedevo sinceramente chi glielo facesse fare. 2 ore sotto il sole senza poter fare il bagno; come resistere, pensavo, nella mia mente limitata, ad osservare noi che ci tuffavamo e nuotavamo felici di fronte alla sua immobilità. Non avevo ancora compreso che per Pippo era proprio quello il piacere, godeva nel vederci divertire. Poi chiudeva gli occhi, sotto la visiera del cappellino. E respirava, respirava l’odore del mare, quella brezza così evocativa, per lui che sul mare c’era cresciuto.

Da ragazzino a San Giovanni Li Cuti, borgo marinaro non distante dal centro di Catania, in seguito il trasferimento ad Ognina. Conosceva a memoria il mare di Catania. “Comandava” le nostre remate fino alle cosiddette “ruttazzi”, le grotte naturali di origine lavica dove, raccontava, gli antichi pescatori trovavano rifugio dalla rumorosità delle famiglie numerose e riposo dal lavoro molto stancante della pesca.

Non parlavamo con un “disabile”. Parlavamo con un amico, e basta. Perché Pippo era straordinario nel metterti a tuo agio, ti svuotava di tutto quel retaggio di pietismo e ipocrisia che molto spesso contraddistingue, sia pur in buona fede, le complesse relazioni con i disabili. Pippo di cognome faceva Felice. E lo era! Bastava così poco per vederlo felice. Quel suo cognome, che poteva quasi sembrare un paradossale e beffardo scherzo del destino, era invece la migliore sintesi di una personalità che mostrava il meglio di sé nel dolcissimo e contagioso sorriso.

Da qualche anno Pippo se n’è andato. E provo per lui ancora oggi, forse ancor più di allora, una profonda gratitudine. A volte, quando sono triste, desolato, affranto, vado a nuotare nel mare di Ognina, sotto lo sguardo fumante del vulcano. Chiudo gli occhi e provo a sentire l’odore del mare, proprio come faceva Pippo. E provo a parlare al mio amico, e lo ringrazio. Perché quando penso a lui, per un istante, scompare la paura della morte, sostituita da un’immagine: di nuovo insieme, sulla sua barchetta, a solcare le onde. Felici, in pace.